martedì 27 aprile 2010

Ferdinando Scianna-Fotografo

Autore: Scianna, Ferdinando (1943/), fotografo principale

Luogo e data della ripresa: Milano (MI), Italia, 1982/02, ca.

Materia/tecnica: gelatina bromuro d'argento/carta

Misure: 18 x 24

Collocazione: Milano (MI), Regione Lombardia, fondo Mondo Popolare, servizio fotografico Scianna 1982a, MPP_127_ST_DV


Biografia

Da giovane si iscrive alla Facolta di Lettere e Filosofia presso l'Università di Palermo, studi che presto interromperà. A vent'anni stringe l'amicizia con lo scrittore Leonardo Sciascia con il quale, a soli ventuno anni, pubblica il suo primo libro di foto, con la prefazione proprio di quest'ultimo: "Feste religiose in Sicilia". In questo libro riesce ad immortalare momenti salienti di numerose feste religiose di tutta la Sicilia: il libro ottiene il prestigioso premio Nadar.
Nel 1967 si trasferisce a Milano dove comincia a lavorare per il settimanale l'Europeo, facendo il fotoreporter e l'inviato speciale. Successivamente si trasferirà a Parigi dove farà il corrispondente per 10 anni. Qui scriverà per "Le Monde Diplomatique" e "La Quinzaine Littéraire", di politica per il primo, di fotografia e letteratura per il secondo.
Nel 1977 pubblica in Francia "Les Siciliens" e in Italia "La Villa Dei Mostri". In questo periodo conosce Henri Cartier-Bresson. Nel 1982 entra nella prestigiosa agenzia Magnum introdotto proprio dal maestro Henri Cartier-Bresson. La sua collaborazione con scrittori famosi continua con successo e nel 1989 viene pubblicato il libro "Le forme del caos" con la prefazione dello scrittore catalano Manuel Vázquez Montalbán.
Dal 1987 comincia a lavorare a reportage e ritratti, alternando questi lavori a quelli di alta moda e pubblicità affermandosi a livello internazionale come uno dei più richiesti fotografi. Nonostante l'impegno commericale trova il tempo per svolgere un'attività giornalistica fra Italia e Francia con notevole successo sui temi di cui si è sempre occupato.
Nel 1995 ritorna al passato riaffrontando i temi religiosi del suo primo libro e pubblica "Viaggio a Lourdes". Nei due anni successivi produce le migliori immagini del suo progetto "Dormire Forse Sognare". Mentre nel 1999 vengono pubblicati i sui ritratti al famoso scrittore argentino Jorge Luis Borges.
Nel 2003 esce il capolavoro "Quelli di bagheria" dove, mettendo assieme foto del suo passato, ricostruisce la sua giovinezza nel paese natìo. Nel dicembre 2006 viene presentato a Roma il calendario 2007 per la Regione Siciliana: 12 scatti nei quali ritrae la famosa attrice messinese Maria Grazia Cucinotta sulle montagne siciliane dei Nebrodi.

lunedì 26 aprile 2010

Restauro del ciclo di affreschi giotteschi nel tiburio dell’Abbazia di Chiaravalle


Dopo anni di lavoro, è stato portato a compimento il restauro del ciclo di affreschi che decorano il tiburio dell’Abbazia cistercense di Chiaravalle, a dieci chilometri dal cuore di Milano, grazie ad Intesa Sanpaolo che ha inserito questo intervento nell’ambito di Restituzioni, collaudato programma di restauri di opere appartenenti al patrimonio artistico del Paese, promosso e curato dalla Banca e gestito in collaborazione con le Soprintendenze archeologiche e storico-artistiche.

I lavori di restauro – eseguiti sotto la direzione della Soprintendenza per i Beni Storico Artistici ed Etnoantropologici di Milano dal laboratorio Nicola Restauri in Aramengo (TO) – sono iniziati nel 2002 con fondi ministeriali e sono stati ora portati a termine grazie agli indispensabili finanziamenti erogati nel biennio 2008-2009 da Intesa Sanpaolo.

Il lungo intervento ha interessato l’impresa artistica più importante per qualità e completezza in Lombardia del periodo pre-rinascimentale, dove la narrazione si fonde con la poesia, raggiungendo un equilibrio perfettamente calibrato nei gesti solenni e nelle emozioni sempre delicate ed eleganti.

Il restauro ha risarcito la straordinaria decorazione pittorica trecentesca della chiesa dell’Abbazia di Chiaravalle Milanese, una delle più importanti pagine artistiche del Trecento italiano. L’imponente impresa pittorica coinvolge l’intero spazio interno del tiburio: sotto il cielo stellato della calotta della cupola, i quattro Evangelisti, accompagnati, con ogni probabilità, da altrettanti Profeti e Dottori della Chiesa, annunciano la sequenza di Santi e Beati connessi all’ordine cistercense delle pareti del tamburo. Il registro inferiore, narra le Storie della Vergine post Resurrectionem secondo il racconto diffuso della Legenda Aurea, legate alla morte e all’ascesa al cielo della Vergine.
L’intervento di restauro è stato preceduto e accompagnato da analisi e indagini strumentali non distruttive, finalizzate allo studio delle fenomenologie di degrado, delle tecniche esecutive, dei materiali originali e di quelli utilizzati negli interventi precedenti. In questo modo è stato ad esempio possibile distinguere le diverse fasi temporali di intervento e le diverse mani e personalità operanti all’interno della chiesa, permettendo di individuare, almeno sommariamente, l’organizzazione dell’intero cantiere.
È stata confermata la presenza di due maestri, il primo dei quali di provenienza lombarda, il cosiddetto “Primo Maestro di Chiaravalle”, responsabile della decorazione della cupola della torre nolare e del ciclo del tamburo, e il secondo, identificato con Stefano fiorentino, ricordato da Giorgio Vasari nelle sue Vite come il miglior allievo di Giotto, cui si deve il ciclo con le Storie della Vergine post Resurrectionem.
È stato inoltre possibile all’interno di quest’ultimo ciclo – considerato il più importante per qualità e completezza del periodo pre-rinascimentale in Lombardia – cogliere differenze stilistiche ed esecutive che attestano la presenza di altri pittori, probabilmente allievi e collaboratori dello stesso Stefano.
Si tratta dunque di un lavoro che è riuscito a metterci oggi in contatto diretto con gli artisti del tempo, precisandone la tecnica, contribuendo a chiarire i contenuti di un’arte complessa e in parte ancora non conosciuta.

Il restauro degli affreschi, per i vent’anni di Restituzioni
Il progetto Restituzioni ha compiuto vent’anni e il restauro monumentale degli affreschi trecenteschi di Chiaravalle giunge a festeggiare un compleanno di speciale importanza per Intesa Sanpaolo, che ha individuato in questo impegnativo programma di restauro di opere d’arte del patrimonio pubblico una delle strade maestre per contribuire da protagonista alla crescita del Paese.

Restituzioni è stato avviato nel 1989 dall’allora Banca Cattolica del Veneto - confluita nel nucleo iniziale che avrebbe dato origine ad Intesa Sanpaolo - con obiettivi e finalità legati al territorio di competenza e gestito in collaborazione con gli organismi pubblici di tutela competenti, le Soprintendenze archeologiche e storico-artistiche, in una partnership che è elemento distintivo ed essenziale del programma. Nel corso di quattordici edizioni, Restituzioni ha felicemente assecondato l’imponente crescita della Banca, conquistando dimensione e importanza nazionali.

Il programma oggi può presentare un curriculum di alto profilo, avendo originato un museo virtuale di oltre 600 opere restaurate: tante sono infatti le opere d’arte mobili riportate in pristinam dignitatem, con testimonianze che spaziano dalle epoche proto-storiche fino alle soglie dell’età contemporanea, dall’archeologia all’oreficeria, alle arti plastiche e pittoriche; più di 140 sono gli Enti garanti della rigorosa destinazione pubblica dei propri tesori, fra chiese, musei e siti archeologici, che sino ad oggi hanno beneficiato di Restituzioni; 90 i laboratori di restauro, distribuiti da Nord a Sud, che si sono occupati del restauro, comparto di eccellenza del nostro Paese.

I mosaici pavimentali paleocristiani della Basilica di Aquileia, gli affreschi di Altichiero e Avanzo nella Cappella di San Giacomo nella Basilica del Santo a Padova, il portale maggiore in bronzo della Basilica di San Marco a Venezia: sono solo alcuni degli interventi di restauro su opere di carattere monumentale che costituiscono un ulteriore asso nella manica del programma, che da anni è punto di riferimento nazionale per gli studiosi e per gli operatori impegnati sul fronte della tutela e della salvaguardia del patrimonio artistico del Paese. Ed è in questo “ramo” monumentale di Restituzioni che il restauro degli affreschi di Chiaravalle si colloca.

Affiancando l’impegno del soggetto pubblico, Intesa Sanpaolo ha confermato anche in questa occasione la costante ricerca di efficaci sinergie con quanti si occupano per compito istituzionale della tutela del patrimonio culturale, nella consapevolezza che, in un contesto di “museo diffuso” come l'Italia, le testimonianze artistiche vanno preservate per trasmettere alle future generazioni brani essenziali di storia e identità nazionale.

Filippo Lippi torna a risplendere agli Uffizi




Terminati i lavori di restauro di tre capolavori del pittore fiorentino che si potranno ammirare alla Galleria degli Uffizi dal 26 aprile al 30 maggio 2010
Un Eccezionale prestito dal Louvre permetterà di contemplare la Pala del Noviziato nella sua composizione originale per la prima volta dopo due secoli

Torna a risplendere nella sua originale completezza la Pala del Noviziato, capolavoro del pittore fiorentino Filippo Lippi (Firenze, 1406 ca. – 1469) dipinto per l’omonima cappella in Santa Croce a Firenze, su commissione di Cosimo de’ Medici nel 1445. Dal 26 aprile al 30 maggio prossimi sarà possibile ammirarla interamente rinnovata dopo l’ultimo importante lavoro di restauro realizzato dalla Galleria degli Uffizi di Firenze e finalmente riunita alla Predella dipinta dal giovane aiutante di Lippi, Francesco di Stefano detto Il Pesellino. Infatti, per la prima volta dopo due secoli, la Predella sarà esposta nella sua composizione originaria grazie a un eccezionale prestito dal Museo del Louvre di Parigi.
Tre in totale i capolavori restaurati nel corso dell’anno, dopo un lungo e attento lavoro reso possibile dalla generosità dell’Associazione Amici degli Uffizi, che dal 1993 opera in sostegno alla Galleria, assieme ai Friends of the Uffizi Gallery, Inc.: oltre alla Pala e alla Predella, gli interventi hanno riguardato la cosiddetta Pala di Annalena e altre due tavole dell’artista: La Madonna annunciata e Sant’Antonio abate e
L’angelo dell’Annunciazione e San Giovanni Battista.

«Lo straordinario recupero della Pala del Noviziato reso possibile dagli Amici degli Uffizi – commenta la soprintendente Cristina Acidini – esalta il dipinto, dove si uniscono la magnificenza dei Medici e la splendida maturità artistica di un protagonista assoluto del Rinascimento quale fu Filippo Lippi».
«Episodio di riguardo in quest'esposizione – spiega il direttore della Galleria, Antonio Natali – sarà una piccola tavola che il Louvre ha concesso in prestito e ch’è parte della predella della Pala del Noviziato, di cui si presenta il sensibile restauro. Grazie al gesto generoso del Louvre e al supporto degli Amici degli Uffizi, la predella stessa ricupera la completa autografia del Pesellino, pittore che proprio qui dà la misura dell’altezza della sua espressione salda e nel contempo soave. Espressione che si mostra in piena sintonia con la pala di Filippo (parimenti amabile e solida); la quale, in origine, a sua volta secondava le forme che Michelozzo aveva impresso in Santa Croce alla cappella del Noviziato: robuste come fossero le strutture d’un edificio medievale e però aggraziate come in un’architettura gentile dipinta dall’Angelico».
«Con quest’ultima iniziativa – commenta Maria Vittoria Rimbotti, presidente degli Amici degli Uffizi e dei Friends of the Uffizi Gallery – giunge a compimento un percorso iniziato ormai otto anni fa e che ci ha visto impegnati nell’ambizioso progetto di far tornare allo splendore originario la Sala dei Lippi.
Un’occasione unica poiché per la prima volta dopo due secoli la Pala del Noviziato sarà riunita alla Predella completa dipinta dal giovane Francesco di Stefano».

L’intervento di restauro ha recuperato stupendamente la Pala soprattutto dal punto di vista dei valori cromatici originali. L’opera era infatti coperta da una coltre oleosa che ne offuscava completamente le tonalità cromatiche. Il restauro ha così permesso di riportare alla luce le straordinarie colorazioni originali, nonché i pregi e il rigore delle architetture michelozziane che inquadrano la scena. Un intervento importante
anche dal punto di vista filologico: «Dal dipinto restaurato – sottolinea Angelo Tartuferi, vicedirettore e direttore del Dipartimento dell’Arte dal Medioevo al Quattrocento della Galleria – è ora possibile distinguere i vari livelli compositivi, i pentimenti e le successive elaborazioni dell’artista, come ad esempio i gradini di marmo sopra i quali siede la Vergine col Bambino, inizialmente arrotondati e, nella versione definitiva, resi squadrati».
La Pala del Noviziato era originariamente accompagnata da una predella dipinta dal giovane Francesco di Stefano detto Il Pesellino (Firenze, 1422 ca. – 1457 ca.) sotto la guida di Filippo Lippi. La Predella si compone di cinque scomparti raffiguranti San Francesco che riceve le stimmate; Il miracolo dei Santi Cosma e Damiano [originali provenienti dal Museo del Louvre di Parigi]; La Natività; Il Martirio dei Santi Cosma e Damiano e Il Miracolo di Sant’Antonio. I tre scomparti originali già presenti agli Uffizi sono stati oggetto di un’opera di restauro che ha permesso di valorizzare il linguaggio pittorico intriso dei riflessi stilistici del primo Quattrocento, da Masaccio a Veneziano fino a Paolo Uccello. Grazie all’eccezionale prestito del Museo del Louvre, la Pala e la Predella nella sua completezza torneranno a unirsi in una cornice di stile rinascimentale conferendo all’intero impianto l’aspetto originario voluto da Cosimo de’ Medici.

Ugualmente significativi per i risultati ottenuti in termini di nuova leggibilità si rivelano i restauri della cosiddetta Pala di Annalena, dipinta da fra’ Filippo Lippi attorno al 1450 per il convento fiorentino di San Vincenzo Ferrer. L'iconografia principale è quella della Natività con San Giuseppe, il Bambino Gesù e Maria visibili in primo piano. a prospettiva profonda miscela gli elementi naturali e le architetture della stalla,
distanziando le altre figure della composizione: il bue e l'asino al centro; la Maddalena orante sulla destra;
San Girolamo nella sua iconografia classica che prega inginocchiato a sinistra sullo sfondo di un paesaggio aspro. Sotto di lui è visibile un monaco: è Sant'Ilarione di Gaza tradizionalmente ricordato come abate, taumaturgo e fondatore di monasteri in Palestina. Spiega Angelo Tartuferi: «I risultati critici derivanti da questi interventi, messi a disposizione degli studiosi, contribuiranno a sciogliere i nodi ancora irrisolti
relativi soprattutto alla cronologia del frate pittore».

Completano i lavori di restauro due opere di Filippo Lippi databili attorno al 1455-60. Si tratta di due dipinti di inusitata tipologia con le figure dell’Annunciazione e di due santi, Sant’Antonio Abate e San Giovanni Battista. Ancora oscura la loro funzione: se in un primo tempo si era ipotizzato potessero essere dei pilastrini laterali di una più grande pala, recentemente si è più propensi a considerarli parte di una decorazione del mobilio appartenente a una facoltosa famiglia nobile di Prato.

CONFERENZA STAMPA
Lunedì 26 aprile, Ore 11:00
Sala dei Lippi, Galleria degli Uffizi di Firenze
Parteciperanno:
Cristina Acidini, soprintendente per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze
Antonio Natali, direttore della Galleria degli Uffizi
Maria Vittoria Rimbotti, presidente dell’Associazione Amici degli Uffizi e dei Friends of the Uffizi Gallery, Inc.
Angelo Tartuferi, direttore del Dipartimento Arte dal Medioevo al Quattrocento della Galleria degli Uffizi
Saranno inoltre presenti i restauratori Lucia Dori, Andrea Dori, Lucia Biondi e Daniele Piacenti
Alle ore 17:30 seguirà l’inaugurazione della mostra.

Informazioni
Amici degli Uffizi
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giovedì 22 aprile 2010

L’ISCR restaura L’Annunciazione di Caravaggio del Musèe des Beaux Arts di Nancy


Il 16 di Novembre è arrivata a Roma, nei Laboratori di Restauro dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro in via di San Michele, il dipinto di Michelangelo Merisi da Caravaggio rappresentante L’Annunciazione, proveniente dal Musée des Beaux Arts di Nancy e è esposto alla Mostra su Caravaggio allestita alle Scuderie del Quirinale da febbraio 2010. In previsione dell’evento, in accordo con la Direzione del Museo, verranno eseguiti approfondimenti scientifici mirati alla conoscenza materiale e conservativa dell’opera e una revisione dell’intervento di restauro già eseguito dall’allora ICR nel 1968-69.

L’opera e la sua storia conservativa...

Il dipinto eseguito negli anni 1608-10, probabilmente nel soggiorno maltese o nel secondo periodo di attività a Napoli, venne donato dal Duca Enrico II di Lorena alla Chiesa Primaziale di Nancy .
Il Lorena era sposato con Margherita Gonzaga e i Gonzaga erano molto vicini al Caravaggio, avevano infatti acquistato la Morte della Vergine, rifiutata da Santa Maria della Scala e fu il cardinal Ferdinando Gonzaga a chiedere al Pontefice la grazia che il pittore ottenne nel 1610, dopo la morte.
Dal 1645 l’opera risulta presente nella Chiesa di Nancy ed ora è esposta nel Museo locale.
Agli inizi del XIX° secolo subì, in Francia, un intervento di trasporto: venne eliminata dal retro la tela originale, sostituita con altra tela e fatta aderire al tergo con bianco di piombo ad olio.
L’operazione probabilmente causò danni tali che la superficie pittorica venne completamente ridipinta. Nell’intervento eseguito presso l’Istituto Centrale per il Restauro nel 1968-69 è stata rimossa la tela ottocentesca ed eseguita una foderatura a colla di pasta, montando il dipinto su di un telaio metallico ad espansione automatica regolabile. Le ridipinture sono state rimosse e si è verificato lo stato di estrema abrasione del colore originale. Sono state eseguite reintegrazioni ad acquerello.

L’intervento di oggi

L’attuale intervento si configura come una revisione e controllo di quello precedentemente effettuato. Lo stato di conservazione dell’opera è infatti discreto, nonostante la fragilità causata dalla sua storia conservativa. La foderatura eseguita nel 1968 e il telaio applicato all’epoca garantiscono ancora un buon tensionamento, l’adesione e coesione del colore sono buoni.
Il problema principale è la non buona leggibilità dell’opera a causa dell’alterazione delle vernici e di alcune reintegrazioni. Sarà quindi eseguita, oltre ad una verifica dei valori di tensionamento e dell’efficienza del telaio, la rimozione delle vernici e dei ritocchi alterati, eseguendo nuovamente, con materiali più stabili, interventi di presentazione estetica.
L’intervento sarà eseguito da Anna Marcone. La Direzione dei Lavori è di Daila Radeglia.

Sull’opera verranno inoltre eseguiti approfondimenti diagnostici per migliorare la conoscenza della sua tecnica di esecuzione:
Radiografia, a cura di P. Moioli e C. Seccaroni (ENEA)
Riflettografia, a cura di F. Aramini e M. Torre (ISCR)
XRF, a cura di G. Sidoti, F. Talarico, G. Vigliano (ISCR)
Revisione delle sezioni stratigrafiche effettuate nel 1968, a cura di G. Sidoti, F. Talarico, G. Vigliano (ISCR)
Monitoraggio del microclima in tutte le fasi del lavoro (partenza, viaggio, permanenza nei laboratori, esposizione in mostra), a cura di E. Giani (ISCR).

Per informazioni:
dr.ssa Barbara Davidde, Sezione promozione e comunicazione.
Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro
Piazza San Francesco di Paola, 9 00184 ROMA.
tel. 06-48896416, fax 06-4815704, e-mail bdavidde.icr@beniculturali.it

Scavi di Pompei, Casa della Fontana Piccola: concluso il restauro del Dipinto murale raffigurante una scena di paesaggio marittimo

Dopo circa tre mesi di lavori, si è concluso il restauro del dipinto murale raffigurante una scena di paesaggio marittimo della Casa della Fontana Piccola negli Scavi di Pompei. Si tratta, in ordine di tempo, dell’ultima operazione di “salvataggio” conclusa dalla Fondazione CittàItalia. Da anni, infatti, la Fondazione CittàItalia è in prima linea per sensibilizzare i cittadini e coinvolgerli nella tutela del nostro patrimonio culturale e nella raccolta di fondi per il restauro di opere d’arte a rischio, coinvolgendo Istituzioni, primarie aziende, organizzazioni pubbliche e private, e i singoli cittadini. Il lavoro è stato promosso d’intesa tra la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei e il Commissario Delegato per l'emergenza nell'Area Archeologica di Pompei, Prof. Marcello Fiori, ed è stato finanziato grazie ai fondi raccolti in occasione della Campagna del 2009.

“In tempi così difficili, solo il contributo e la partecipazione di tutti può consentire di promuovere la bellezza dell’Italia – dichiara Ledo Prato, Segretario Generale della Fondazione CittàItalia - Restituire questa straordinaria opera a Pompei e a tutti coloro che amano l’arte e questo sito unico al mondo, ci riempie di orgoglio e soddisfazione e ci incoraggia ad andare avanti, proponendo sempre nuove iniziative per coinvolgere i cittadini nella salvaguardia del patrimonio culturale che appartiene a tutti”.

“Siamo lieti di presentare un significativo restauro che accresce lo splendore di questa importante domus– dichiara il Commissario Fiori – un più moderno modello di gestione dei beni cultural, in particolare a Pompei, non può prescindere da una virtuosa integrazione tra la missione del pubblico e l’intervento dei privati, che siano aziende o associazioni di cittadini, per concorrere insieme alla conservazione e alla valorizzazione di uno straordinario patrimonio dell’umanità’’.

La decorazione pittorica del dipinto restaurato è costituita da un registro decorativo superiore, di colore rosso, un pannello centrale raffigurante il paesaggio marittimo, uno zoccolo di colore giallo e, parallelamente al paesaggio, rimane traccia di una decorazione architettonica. E’ possibile evidenziare la notevole corposità di alcune pennellate, eseguite per definire le minuzie di particolari quali foglie di alberi, personaggi che popolano la scena e capitelli di porticati. Numerosi erano i distacchi dell’intonaco dal supporto murario, specialmente in corrispondenza di alcune lesioni, causate dallo slittamento dei conci murari della struttura di sostegno. Sulla superficie dipinta le infiltrazioni di umidità provenienti dall’esterno avevano provocato fenomeni di disgregazione progressiva dell’intonaco, la formazione di sali di vario spessore e incrostazioni superficiali sulla pellicola pittorica. Molte le stuccature in cemento, probabilmente realizzate durante un intervento degli anni’ 60, che alteravano la lettura dell’immagine.

Il lavoro di recupero del dipinto è stato affidato al restauratore Francesco Esposito, con la supervisione della Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei e in particolare dell’archeologo, dr. Ernesto De Carolis, con l’utilizzo di diverse metodologie d’intervento volte a ripristinare l’adesione dell’intonaco al supporto murario, a trattare la pellicola pittorica e a demolire le stuccature in cemento.

mercoledì 21 aprile 2010

FULVIO ROITER-fotografo


FULVIO ROITER - biografia

Fulvio Roiter nasce a Meolo (Venezia) nel 1926.
Inizia a fotografare a vent’anni; nel 1949 aderisce al circolo fotografico La Gondola di Venezia. Insieme con Paolo Monti, a cui è legato da intensa amicizia, scopre gli autori stranieri del gruppo Fotoform e le opere di Hans Hammarskjöld.
Nel febbraio 1953, parte per il suo primo viaggio fotografico, il primo di una lunghissima serie, in Sicilia. La pubblicazione su "Camera", nel gennaio 1954, di alcune fotografie siciliane segna il suo debutto sulla scena internazionale. Ha incarico dalla Guilde du Livre di Losanna di realizzare un libro sull’Umbria di San Francesco. Qui, ai primi di gennaio del 1954, nell’arco di poche ore scatta quattro tra le fotografie più famose della sua intera carriera. Ombrie. Terre de saint-François vincerà il premio Nadar nel 1956.
Fulvio Roiter - Sardegna. Pastore sul Gennargentu, 1955
Sardegna. Pastore sul Gennargentu, 1955

Fulvio Roiter - Tunisia. Sidi Bou Said, 1971
Tunisia. Sidi Bou Said, 1971




Nella primavera del 1955 compie, in Mosquito, il periplo della Sardegna e, poche settimane più tardi, il primo viaggio in Andalusia, dove tornerà anche l’anno seguente.
Nella primavera del 1959 parte per il primo viaggio in Brasile, dove resta nove mesi e dove, tra il 1960 e il 1962, tornerà molte volte.
Nell’inverno del 1959 lavora in Belgio; conosce la fotografa Lou Embo, che sposerà pochi mesi più tardi.
Bruges, uno dei suoi libri più intensi, apparirà nel 1963 per i tipi de L’Arcade.
Tra il 1962 e il 1964 fotografa a più riprese in Portogallo: a Nazarè, un villaggio di pescatori vicino Lisbona; in Algarve, nel Sud; a Madeira. Inizia a collaborare con Atlantis Verlag, con cui realizza innumerevoli libri negli anni Settanta.
Viaggia, instancabilmente, in Persia, nel 1964, in Turchia, 1965, in Messico, 1966, in Libano, 1967, in Spagna, 1969, in Irlanda, 1970, in Louisiana e in Tunisia nel 1971.
Tra il 1972 e il 1974, scopre l’Africa equatoriale, con una serie di viaggi in Costa d’Avorio, dove realizza tra l’altro un celebre reportage in un villaggio Senufo; nello Zaire, dove fotografa le danze rituali dei Watussi e i pigmei del monte Hoyo; e in Niger, ad Agades, la porta del deserto. Da questi viaggi hanno origine i suoi celeberrimi libri fotografici: ad oggi, oltre sessanta i più importanti.

SEBASTIAO SALGADO-Fotografo


Sebastião Salgado (Aimorés, 8 febbraio 1944) è un fotografo brasiliano, che attualmente vive a Parigi.
Vita e opere

Dopo una formazione universitaria di economista e statistico decide, in seguito ad una missione in Africa, di diventare fotografo. Nel 1973 realizza un reportage sulla siccità del Sahel, seguito da uno sulle condizioni di vita dei lavoratori immigrati in Europa. Nel 1974 entra nell'agenzia Sygma e documenta la rivoluzione in Portogallo e la guerra coloniale in Angola e in Mozambico. Nel 1975 entra a far parte dell'agenzia Gamma ed in seguito, nel 1979, della celebre cooperativa di fotografi Magnum Photos. Nel 1994 lascia la Magnum per creare, insieme a Lelia Wanick Salgado, Amazonas Images, una struttura autonoma completamente dedicata al suo lavoro. Salgado si occupa soprattutto di reportage di impianto umanitario e sociale, consacrando mesi, se non addirittura anni, a sviluppare e approfondire tematiche di ampio respiro.

A titolo di esempio, possiamo citare i lunghi viaggi che, per sei anni, lo portano in America Latina per documentarsi sulla vita delle campagne. Questo lavoro ha dato vita al libro Other Americas.

Durante i sei anni successivi Salgado concepisce e realizza un progetto sul lavoro nei settori di base della produzione. Il risultato è La mano dell’uomo, una pubblicazione monumentale di 400 pagine, uscita nel 1993, tradotta in sette lingue e accompagnata da una mostra presentata finora in oltre sessanta musei e luoghi espositivi di tutto il mondo.

Dal 1993 al 1999 Salgado lavora sul tema delle migrazioni umane. I suoi reportages sono pubblicati, con regolarità, da molte riviste internazionali. Oggi, questo lavoro è presentato nei volumi In Cammino e Ritratti di bambini in cammino, due opere che accompagnano la mostra omonima edite in Italia da Contrasto.


Stile

Con studi di economia alle spalle, Salgado approda tardi nel mondo della fotografia, occupandovi subito una posizione di primo rango. Le sue opere si ispirano a quelle dei maestri europei, filtrate però dall’eredità culturale sudamericana. Esse attirano l’attenzione su tematiche scottanti, come i diritti dei lavoratori, la povertà e gli effetti distruttivi dell’economia di mercato nei Paesi in via di sviluppo. Una delle sue raccolte più famosa è ambientata nella miniera d’oro della Serra Pelada, in Brasile, e documenta un abuso dei diritti umani senza precedenti dai tempi delle grandi piramidi egiziane. Migliaia di persone sono ritratte mentre si arrampicano fuori da un’enorme cava su primitive scale a pioli, costretti a caricare sacchi di fango che potrebbero contenere tracce d’oro.

Salgado scatta nel modo tradizionale, usando pellicola fotografica in bianco e nero e una fotocamera standard da 35 mm: strumenti portatili e poco ingombranti. È nota la sua preferenza per le macchine Leica, in virtù della qualità delle loro lenti: le immagini di Salgado possono essere riprodotte in grandi formati senza perdere impatto né nitidezza dei dettagli. Particolarmente attento alla resa dei toni della stampa finale, Salgado applica uno sbiancante con un pennello per ridurre le ombre troppo intense.

lunedì 19 aprile 2010

Fotografia,Mimmo Jodice


Jodice, il fotografo dell'inquietudine


In una grande retrospettiva al Palaexpo di Roma 180 immagini in bianco e nero di uno dei protagonisti della ricerca contemporanea dagli Anni 60 a oggi

ROCCO MOLITERNI
INVIATO A ROMA

Non sono mai rassicuranti le immagini di Mimmo Jodice, anzi lui è forse il più grande fotografo dell’inquietudine. Un’inquietudine che cerca a volte invano di placarsi nella classicità e in un passato di vestigia e palazzi e statue che lui riesce per incanto a far rivivere ossia a rendere «cosa viva» e sofferente. Così il cuore della grande antologica che gli dedica il Palazzo delle Esposizioni di Roma, a cura di Ida Gianelli e Daniela Lancioni, è Anamnesi, del 1990, montaggio di dieci volti, da busti, affreschi, mosaici, statue dove l’umanità è come sfregiata, profili diventati spugnosi come se affetti da mucca pazza, nasi frantumati, guance tagliate, occhi sbrecciati o perforati. Dove un tempo era la bellezza, sembrano dirci queste immagini, oggi c’è l’orrore, un orrore però che non riesce del tutto a cancellare quella lontana bellezza perduta, l’inseguimento delle cui tracce sembra motivare buona parte dell’attività del fotografo napoletano. Un’attività che inizia negli Anni 60, quando Jodice respira l’ansia di una irripetibile stagione di ricerca, che in fotografia significa da un lato l’immergersi nel reportage sociale e dall’altro interrogarsi come Ugo Mulas sugli statuti della disciplina.

Siamo al secondo piano del Palaexpo che ospita in questi giorni l’esposizione (a cura di Achille Bonito Oliva) sulla Natura in De Chirico, e val la pena di visitare a «ritroso» la mostra di Jodice, non solo perché «Natura» è anche il titolo dell’ultima stanza con la produzione più recente del fotografo (commentata dallo stesso Abo in catalogo). Qui l’inquietudine la troviamo in rami di alberi che sembrano protendersi nel vano tentativo di afferrare qualcosa o qualcuno o che quasi soffocano la possibilità di esistere di una finestra. Poi c’è la stanza del «Mare», dove alcune immagini ti danno l’idea metafisica, immobile e soffocante, di una bonaccia conradiana, e altre piene di cieli minacciosi ti parlano di tempeste imminenti. L’uomo non c’è e non sai se non ci sia mai stato o se siamo in un universo post-atomico. Forse meno convincente il capitolo «Eden» (quanto meno per la giustificazione ideologica che ne dà lo stesso Jodice: «una metafora della violenza quotidiana, la violenza persuasiva e pervasiva con la quale bisogni indotti ed effimeri ci seducono»), dove si rivisitano cibi e oggetti, dalle zampe di pollo alle testine di vitello, dai guanti alle forbici. Poi ci si immerge nel cuore e nelle rovine del «Mediterraneo». Un viaggio, in cui, come spiegava Julide Aker in un numero di Camera Work del 1997, «i frammenti del retaggio artistico del mondo classico sono bagnati dalla luce, avvolti dall’effetto flou e collocati in un luogo che non è né qui nel presente né là nel passato».

Il nomadismo di Jodice, non solo mentale ma anche spaziale, l’ha portato a esplorare anche luoghi lontani, dall’America al Giappone, e la stanza successiva ci regala immagini hopperiane di Boston e motocicli come cavallette in un parcheggio di San Paolo.

Poi incrociamo le «Rivisitazioni», che sono ritorni a casa, ossia riconsiderazioni di quei luoghi napoletani (ma non solo) che avevano visto negli Anni 60 le prime indagini antropologiche di Jodice. Anche qui però è come se una bomba «intelligente» avesse fatto sparire gli uomini ma non le loro tracce: il Reale Albergo dei Poveri è ora una scalinata di sedie e scarpe vecchie, Suor Orsola un muro sbrecciato con uno di quei bastoni che solo al Sud si usano per tener su i fili dove stendere i panni. E nelle «Vedute di Napoli» fantasmi appaiono le auto o gli oggetti avvolti in lenzuola. Non fantasmi ma persone reali, bambini indigenti nei bassi di Ercolano o del centro storico, sono protagonisti delle serie dei primi Anni 70. Le ricerche e le sperimentazioni, non solo in fase di stampa, sono invece al centro delle prime sale, dove ad esempio debitrice a Bill Brandt è la serie di nudi e di volti femminili che si perdono nell’ombra. Ci sono giochi di montaggio come il paesaggio di Morano Calabro trattato in vari modi o i giochi alla Fontana, con il taglierino che incide davvero una foto o quelli concettuali alla Boetti, come la fotografia di una lettera inviata a se stesso.

Si esce con l’idea di aver percorso, attraverso 180 immagini in bianco e nero, un pezzo di storia della nostra fotografia: la mostra ci aiuta a capire Jodice e perché sia oggi uno dei pochi fotografi italiani apprezzati a livello internazionale. Unico limite: la mostra parla forse più alla testa che al cuore, cosa che invece riusciva a fare quella «ambientata» alcuni anni fa nel salone della Meridiana al Museo Archeologico di Napoli.

Maestri della fotografia,Mimmo Jodice

Mimmo Jodice è uno dei maggiori fotografi italiani contemporanei. Nato a Napoli nel 1934, Jodice ha iniziato a lavorare con la fotografia negli anni Sessanta. Dopo le prime sperimentazioni che indagavano le numerose possibilità espressive della fotografia, la sua attenzione si rivolse soprattutto alla realtà di Napoli nei suoi aspetti sociali, storici e paesaggistici. Con le "Vedute di Napoli" del 1980 ha inizio un profondo rinnovamento del suo linguaggio espressivo. Alla fine degli anni Ottanta Jodice inizia una serie di lavori sul mito del Mediterraneo, che saranno poi raccolti nel libro Mediterraneo, edito da Aperture ( New York) nel 1995. Tra le ultime opere ci sono quelle delle serie: "Eden" del 1998, "Il Reale Albergo dei Poveri" (1999-2000) e "Isolario Mediterraneo" (1999-2000)."Eden" offre una visione di Napoli come paradiso terrestre "che - come scrive Germano Celant - continua a sopravvivere tra positivo e negativo, tra dolcezza e violenza, tra bene e male. Tale metafora del mondo è un giardino lussureggiante, punto di comunicazione tra cielo e terra, abitato da ogni specie di cose e di prodotti, che alimentano la vita ". Nel 1999 con "Isolario Mediterraneo Jodice affronta un viaggio verso le isole del Mediterraneo che, come egli stesso ha scritto: "parte dalla distesa infinita del mare per condurci alla dimensione infinita dell'isolamento".

domenica 18 aprile 2010

Street Art-Stile Figurativo





Lo stile figurativo è forse lo stile che rispecchia più esplicitamente la personalità del writer. Capita spesso di incontrare pezzi affiancati da puppet o personaggi noti (figure manga, personaggi di cartoni animati ecc). Forse è scorretto raggruppare tutto ciò in un solo stile, ma non si può fare altrimenti, visto che ogni artista è diverso dagli altri. Anche in questo caso ogni writer va alla ricerca di uno stile personale e soprattutto della perfezione nei minimi dettagli di ciò che rappresenta.

Street Art-Corrente Europea







# Corrente Europea:

Bozzetto in stile corrente europea Questo stile si sviluppa in Europa e fa scuola soprattutto a Parigi, a Londra e a Monaco. È molto curato nei dettagli ed è ricco di sfumature, di colori, di tridimensionalità accentuati. Le lettere sono arricchite da numerosi dettagli, dai loop che si intrecciano e da numerosi interventi.

Street Art- Stili-Stile Eclettico,Stile Tridimensionale,Stile Dinamico Morbido,Stile del Mascheramento,Messiah Style,Roc Style

# Computer Roc Style:

Lo stile è stato inventato da Case 2 (New York). Le lettere vengono divese in tante parti, ognuna delle quali prende una diversa direzione rendendo difficile la lettura.

# Messiah Style:

Questo stile crea l'effetto originale di lettere scritte su fogli che si sovrappongono. È uno stile aggressivo ma più morbido del Computer Roc Style. Lo stile è stato inventato da Vulcan (New York).

# Stile del Mascheramento:

Stile inventato da Spyder 7. Si interviene sul pezzo coprendo i loop e alcune parti delle lettere.

# Stile Dinamico morbido:

Questo stile è caratterizzato dallo stesso dinamismo degli stili precedenti, ma le lettere appaiono più arrotondate e design meno forti. Le lettere sono comunque poco leggibili. Questo stile è molto seguito e subisce molte variazioni

Stile tridimensionale:

Questo stile, molto particolare e differente dagli altri, consiste in lettere e disegni che sembrano uscire dal muro, o danno l'impressione che il muro stesso sia profondo, grazie a una cura molto scrupolosa della colorazione e dei particolari: inclinazioni, ombre, profondità, ecc..
Due writers molto famosi che seguono questo stile sono Loomit e Daim. Dando uno sguardo ai loro pezzi capirete immediatamente cosa s'intende per stile 3D!

Stile Eclettico:

Il punto di arrivo di ogni writer: l'eclettismo. Il writer ha ormai molta esperienza, raggiunge i livelli del suo stesso maestro ed elabora uno stile personale che rispecchia la sua stessa personalità. Non si può partire con questo stile: non esistono regole precise e spesso occorrono anni di esperienza prima di raggiungerlo. Arrivati a questo stile si continua a fare esperienza, così lo stile stesso si evolve e diventa sempre più personale e passa sempre meno inosservato.

Bubble Style-Street Art




I bubble sono delle lettere dalle forme tondeggianti, in genere semplici da capire e variamente colorati. Possono essere definite come un'evoluzione del classico stile logo.

Block Style-Street Art





Block style:

Un 'Placas', cioè, un blocco realizzato da una gang latina di East Los Angeles, la 'Primera Flats' I blocchi sono enormi pezzi fatti con lettere cubitali solitamente enormi, generalmente riempite con un solo colore (di solito bianco o argento). Lo stile è nato a Los Angeles e veniva usato dalle gang per segnare il proprio territorio. Ancora oggi i blocchi vengono usati soprattutto per scrivere il nome della crew, più che del singolo writer. Questi pezzi vengono realizzati in gruppo e ognuno ha un compito, che permette di realizzarlo in meno tempo possibile: uno disegna le outline, un altro subito comincia a colorare, ecc...

Throw Up-Street Art


Lo stile

Dello stile si potrebbe parlare per ore, ma arriviamo subito alla sostanza: lo stile è qualcosa che si crea col tempo. Qualcosa che forse farà parlare di noi o che non ci farà passare inosservati. In ogni disciplina dell'hip hop, un b-boy va alla ricerca dello stile personale, ma abbiamo un esempio visibile soprattutto nel writing.
In genere chi inizia a fare writing sceglie un "maestro" o entra in una crew, ne segue lo stile e col tempo lo elabora fino a creare lo stile personale. È molto difficile che esistano due stili identici: quando creiamo un pezzo, che noi lo vogliamo o no, questo rispecchia la nostra personalità, le nostre emozioni, i nostri stati d'animo ecc, quindi uno stile o peggio ancora, un pezzo copiato, può essere solo opera di un sucker. Rimarrà solo un pezzo, magari bello da vedere, ma vuoto, senza sostanza.

Classificazione

Dato che ognuno di noi elabora uno stile personale, classificare gli stili non risulta facile. È facile fare una classificazione generale (throw up, stili dinamici ecc...) ma per fare una classificazione precisa occorre conoscere gli stili fino in fondo, mentre a volte, non è possibile quando ci si trova davanti a uno stile molto personale (eclettico).
Facciamo ora una classificazione molto generale degli stili più conosciuti.
Per alcuni degli stili non ho ancora trovato una foto adatta. Se trovate sul web qualcosa, fatemi sapere!

THROW UP

I throw-up sono quei pezzi eseguiti molto velocemente. Il tratto è tondeggiante, l'interno può essere vuoto o riempito in modo grossolano con un solo colore (in genere bianco o argento). Throw-Up - Mek + Raxo (13F), Terralba (OR) Spesso l'outline viene fatta in un'unica passata, ovvero, senza smettere di spruzzare il colore finchè non è stata finita. Qualche rara volta vendono fatti anche dei piccoli 3D. Il throw up è lo stile per eccellenza dei bombers. Questi non badano alla qualità dei pezzi, ma mirano a eseguirne il più possibile e spesso in posti in bella vista e/o difficili da raggiungere con lo scopo di far conoscere il proprio nome il più possibile e di avere la soddisfazione di avervi lasciato un proprio segno. I bombers spesso hanno un nome cortissimo, perché più veloce da scrivere, oppure scrivono nel pezzo solo la prima e l'ultima lettera della tag. Vi sono anche writers comuni che saltuariamente si dedicano anche a questo tipo di lavoro, altri invece vanno contro, perché più dediti allo studio dello stile con cui lavorano. I throw-up, dopo le tag, sono i lavori che maggiormente infastidiscono la gente comune. Lo stile è nato a New York ed è diventato famoso grazie al newyorkese IN. Il suo nome deriva dal verbo inglese to threw up che significa vomitare, abbandonare, far emergere, costruire in fretta. Non occorre molta fantasia per comprendere l'associazione.

Bomb Style-Street Art


Lo stile

Dello stile si potrebbe parlare per ore, ma arriviamo subito alla sostanza: lo stile è qualcosa che si crea col tempo. Qualcosa che forse farà parlare di noi o che non ci farà passare inosservati. In ogni disciplina dell'hip hop, un b-boy va alla ricerca dello stile personale, ma abbiamo un esempio visibile soprattutto nel writing.
In genere chi inizia a fare writing sceglie un "maestro" o entra in una crew, ne segue lo stile e col tempo lo elabora fino a creare lo stile personale. È molto difficile che esistano due stili identici: quando creiamo un pezzo, che noi lo vogliamo o no, questo rispecchia la nostra personalità, le nostre emozioni, i nostri stati d'animo ecc, quindi uno stile o peggio ancora, un pezzo copiato, può essere solo opera di un sucker. Rimarrà solo un pezzo, magari bello da vedere, ma vuoto, senza sostanza.

Classificazione

Dato che ognuno di noi elabora uno stile personale, classificare gli stili non risulta facile. È facile fare una classificazione generale (throw up, stili dinamici ecc...) ma per fare una classificazione precisa occorre conoscere gli stili fino in fondo, mentre a volte, non è possibile quando ci si trova davanti a uno stile molto personale (eclettico).
Facciamo ora una classificazione molto generale degli stili più conosciuti.
Per alcuni degli stili non ho ancora trovato una foto adatta. Se trovate sul web qualcosa, fatemi sapere!

* Logo:

Pezzo logo I pezzi logo sono quei pezzi leggibili.
Possono essere realizzati con qualunque stile, l'importante è che le lettere siano riconoscibili. Vengono realizzati spesso quando si vuole realizzare un pezzo di grandi dimensioni, ma semplice (specie quando c'è poco tempo a disposizione) oppure per segnare la nascita di una crew (una sorta di presentazione!) o anche da affiancare a pezzi più complicati.

Wild Style ( Writing) Street Art



Il wild style o wildstyle è una forma complessa ed intricata di graffiti writing. Collegato alla sua complessità, spesso c'è una certa difficoltà ad interpretarlo per chi non ha familiarità con il genere.

Questo stile incorpora lettere intrecciate e sovrapposte, forme indipendenti e associazioni con frecce, picche ed altri elementi decorativi che dipendono dalla tecnica utilizzata. Le numerose componenti di questo stile lo rendono difficile da riprodurre omogeneamente, tale riproduzione omogenea è uno degli obiettivi e delle maggiori sfide dell'artista, nell'intento di concepire uno stile proprio. Le realizzazioni in wildstyle sono conosciute anche come "burner", ovvero calde come il fuoco, e usualmente sono utilizzate dall'artista più che altro per dimostrare le proprie capacità artistiche, piuttosto che per rappresentare un messaggio politico o sociale.Per realizzare un wild style bisogna inanzitutto partire dalla tipica forma iniziale del writing,il "lettering" che si forma con la costruzione delle lettere scelte.

sabato 17 aprile 2010

Nan Goldin -Passion Is All



Nan Goldin

Nan Goldin (1953) is an American fine-art and documentary photographer.She is represented by the Matthew Marks Gallery in New York.
Boston.Goldin was born in Washington, D.C. and grew up in an upper-middle-class Jewish family in theAfter attending the nearby Lexington High School, she enrolled at the Satya Community School in Boston, where a teacher introduced her to the camera in 1968; Goldin was then fifteen years old. Her first solo show, held in Boston in 1973, was based on her photographic journeys among the city's gay and transsexual communities, to which she had been introduced by her friend David Armstrong.Goldin graduated from the School of the Museum of Fine Arts, Boston/Tufts Univercity in 1977/1978, where she had worked mostly with Cibachrome prints.
Following graduation, Goldin moved to New York City.She began documenting the post-punk.She began documenting the post-Stonewall gay subculture of the late 1970s and early 1980s. She was drawn especially to the Bowery's hard-drug subculture; these photographs, taken between 1979 and 1986, form her famous work The Ballad of Sexual Dependency — a title taken from a song in Bertolt Brecht's Threepenny Opera.These Snapshot Aesthetic images depict drug use, violent, aggressive couples and autobiographical moments. Most of her Ballad subjects were dead by the 1990s, lost either to drug, overdose or AIDS; this tally included close friends and often-photographed subjects Greer Lankton and Cookie Mueller.In 2003, The New York Times nodded to the work's impact, explaining Goldin had "forged a genre, with photography as influential as any in the last twenty years.In addition to Ballad, she combined her Bowery pictures in two other series: "I'll Be Your Mirror"(from a song on The Velvet Underground's The Velvet Underground and Nico album) and "All By Myself."
Goldin's work is most often presented in the form of a slideshow and has been shown at film festivals; her most famous being a 45 minute show in which 800 pictures are displayed. The main themes of her early pictures are love, gender, domesticity, and sexuality; these frames are usually shot with available light.She has affectionately documented women looking in mirrors, girls in bathrooms and barrooms, drag queens, sexual acts, and the culture of obsession and dependency.
Goldin lives in the New York and Paris - one reason the French Pompidou Centre mounted a major retrospective of her work in 2002. Her hand was injured in a fall in 2002, and she currently retains less ability to turn it than in the past.
In 2006, her exhibition, Chasing a Ghost, opened in New York.It was the first installation by her to include moving pictures, a fully narrative score, and voiceover, and included the disturbing three-screen slide and video presentation Sisters, Saints, & Sybils. The work involved her sister Barbara's suicide and how she coped through a numerous amount of images and narratives. Her works are developing more and more into cinemaesque features, exemplifying her graviation towards working with films.
She was the recipient of the 2007 Hasselblad Award.
Some critics have accused her of making heroin-use appear glamorous, and of pioneering a grunge style that later became popularized by youth fashion magazines such as The Face and I-D.Goldin herself called the use of heroin-chic
(wikipedia)

Your approach towards photography is very personal. Is not it a kind of therapy?

Yes, photography saved my life. Every time I go through something scary, traumatic, I survive by taking pictures.

You also help other people to survive. Memory about them does not disappear, because they are on your pictures.

Yes. It is about keeping a record of the lives I lost, so they cannot be completely obliterated from memory. My work is mostly about memory. It is very important to me that everybody that I have been close to in my life I make photographs of them. The people are gone, like Cookie, who is very important to me, but there is still a series of pictures showing how complex she was. Because these pictures are not about statistics, about showing people die, but it is all about individual lives. In the case of New York, most creative and freest souls in the city died. New York is not New York anymore. I've lost it and I miss it. They were dying because of AIDS.

You decided to leave the United States because of the effect the AIDS epidemic had on the community of New York gay artists and writers?

I left America in 1991 to Europe. I went to Berlin partially because of that, and partially because one of my best friends, Alf Bold, was dying and I stayed with him and took care of him. He had nobody to take care of him. I mean, he had lots of famous friends, but he had nobody to take care of him on a daily basis. He was one of people who invented the Berlin film festival. This was also the time when my Paris photo dealer Gilles died of AIDS. He had the most radical gallery in the city. He did not tell anybody in Europe that he has AIDS, because the attitude here was so different than in the United States. There was no ACT UP in Paris, and in 1993 it looked very much like in the US in the 1950s. Now it has changed, but at that time people in Europe told me: 'Oh, we do not need ACT UP. We have very good hospitals'.
Your art is basically socially engaged...

It is very political. First, it is about gender politics. It is about what it is to be male, what it is to be female, what are gender roles... Especially The Ballad of Sexual Dependency is very much about gender politics, before there was such a word, before they taught it at the university. A friend of mine said I was born with a feminist heart. I decided at the age of five that there was nothing my brothers can do and I cannot do. I grew up that way. It was not like an act of decision that I was going to make a piece about gender politics. I made this slideshow about my life, about my past life. Later, I realized how political it was. It is structured this way so it talks about different couples, happy couples. For me, the major meaning of the slideshow is how you can become sexually addicted to somebody and that has absolutely nothing in common with love. It is about violence, about being in a category of men and women. It is constructed so that you see all different roles of women, then of children, the way children are brought up, and these roles, and then men, then it shows a lot of violence. That kind of violence the men play with. It goes to clubs, bars, it goes to prostitution as one of the options for women - prostitution or marriage. Then it goes back to the social scene, to married and re-married couples, couples having sex, it ends with twin graves.
Could you please tell us something about the people, the artists who have influenced your art?

My biggest influences are my friends. Bruce was one of first persons that introduced me to slide shows in the 1970s. I started doing slide shows because I left school. During school I went to live in Provincetown, a gay resort three hours away from Boston. It is the farthest point in America's east coast. It is beautiful. It is a little community of artists. Norman Mailer lives there. A lot of painters and writers live there. In the 1970s it was really wild with Waters, Cookie, Sharon, and Sharon's son. It was incredibly wild. Later everything has completely changed. In Provincetown we used to live in small groups. I took lots of pictures of my friends, like "Bruce in the snow". I've known Bruce since 1972. We lived together with Bruce, Sharon, and Cookie. I was at the School at the Museum of Fine Arts. Those days the school was that teachers sat in the parking lot and drank. Literally. This was before the 1980s. We were told that we will never make any money on art. Now, the students that I teach, at Yale particularly, all they want to know is what gallery they could have a show in or could I help them to get a show. They go right from the graduate school to the big galleries. It is all a career move. When I went to art school, I never heard of Artforum. Never. I took classes in Russian literature, in Faulkner, whom I love. I took writing classes, I took the history of film, I took drawing to be able to see better, because many photographers cannot see anything.

I actually became very influenced by Rothko. I love the work of Richard Todd, but I cannot say he was an influence. Anything that I see and I love is an influence, but I never try to replicate somebody else, like I never tried to make a Rothko. I love Caravaggio, but I never studied Caravaggio. I never made any Caravaggios. Some of my pictures of boys having sex, they have the same sense of light as Caravaggio. Caravaggio also knew all the people that he painted. They were his lovers or hustlers. Pasolini used boys from the street that he loved that he desired. Fassbinder only used people he knew. Cassavetes used the same people over and over, so I am not the first one to do that, but I think that people have forgotten how radical my work was in the 1980s, when I started, because nobody was doing work like that. Now, so many people have done work like that like Wolfgang Tillmans, Juergen Teller, Corinne DayÉ Now people think I am just one of many who've done that. They do not understand that The Ballad of Sexual Dependency was so radical when it came out.

I was very influenced by film, because I did not go to high school. I went to the movies. Sometimes I went to the movies two or three times per day. I saw every movie from the 1940s and the 1950s. I saw every movie where all those goddesses were... Every movie with Marlena Dietrich, every movie with Bette Davies, every movie with Barbara Stanwyck, every movie with Marilyn Monroe. Then I saw an enormous amount of Italian movies with Antonioni, Pasolini, de SicaÉ I was very influenced by Cassavetes. When I am influenced, unlike many other contemporary photographers, I would never take a scene from the movie. I was very influenced by Fassbinder and Kie¦lowski. I saw his "Ten Commandments." How do you pronounce his name? Yes, he is very important to me. Also Fassbinder was important. I saw all his works.
Did you make any movies?

Yes, I made two documentaries. "I'll Be Your Mirror" was made with the BBC. It is about my life. The other was made with Joana and Aurele. It is about AIDS and it is called "Ballad at the Morgue." He has AIDS and she does not. It is about a couple, about a relation of a couple, where one person is HIV-positive and the other is not. The film has only been shown in Turin.

What about music?

Yes, it is very important to me. Now, I am very influenced by Nick Cave. He saved my life, literally.

Some of your pictures are blurred. You did it on purpose?

Actually, I take blurred pictures, because I take pictures no matter what the light is. If I want to take a picture, I do not care if there is light or no light. If I want to take a picture, I take it no matter what. Sometimes I use very low shutter speed and they come out blurred, but it was never an intention like David Armstrong started to do what we call, he and I, "Fuzzy-wuzzy landscapes." He looked at the back of my pictures and studied them. He started to take pictures like them without people in them. They are just out of focus landscapes. He actually did it, intentionally threw the camera out of focus. I have never done it in my life. I take pictures like in here when there is no sun or light that I think all my pictures are going to be out of focus. Even Valerie and Bruno and whatever I take, because there is not enough light, and so I use a very low shutter speed. It used to be because I was drunk, but now I am not. The drugs influenced all my life. Both good and bad. I heard about an artist in Poland, Witkacy, who wrote down on his paintings all the drugs he was on. Depending how many drugs he took, that is how much he charged for the portrait. I saw his portrait at the National Museum, a kind of German expressionism, and I loved it.

Interview by Adam Mazur and Paulina Skirgajllo-Krajewska 13 Fabruary 2003 Warsaw.

Nan Goldin-fotografa


Nan (o Nancy) Goldin (Washington, 12 settembre 1953) è una fotografa statunitense contemporanea.


Biografia

Nan Goldin nasce a Washington DC nel 1953 ma cresce a Boston, dove frequenta la School of the Musem of Fine Arts. Vive a New York dal 1978, dove si è affermata come una delle maggiori esponenti di un'arte a favore di una identificazione completa tra arte e vita.

Fino dall'età di diciotto anni usa la fotografia come un "diario in pubblico", per questo l'opera di Nan Goldin è inseparabile dalla sua vita. Segnata dal suicidio della sorella diciottene Barbara Holly il 12 aprile 1965, è proprio fotografando la propria famiglia che inizia il suo lavoro fotografico. In seguito rimane molto vicina all'album di famiglia sia per la tecnica che per i soggetti scelti.

Nel 1979, iniziando dal Mudd Club di New York, l'artista comincia a presentare le sue immagini con una proiezione di diapositive accompagnate da una colonna sonora punk: Ballata della dipendenze sessuale diffuso nei musei in più versioni.Le foto, anche se danno l'impressione di essere state rubate, non sono mai scattate con il soggetto troppo vicino all'obiettivo per risultarne sorpreso.

Vi si vede il suo entourage subire il travaglio della vita: vecchiaia, amore, morte, infanzia si succedono nei pochi secondi della proiezione prima dell'immagine successiva. Questo gruppo di persone a lei vicine di cui molte sono scomparse risulta ghermito in una congiura orchestrata dalla morte.


Nan Goldin osserva la parte trasgressiva e nascosta della vita della città con un approccio intimo e personale. I ricordi privati divengono opere d'arte solo dopo la decisione di esporli. Ritrae amici e conoscenti, ma anche se stessa come nel celebre Autoritratto un mese dopo essere stata picchiata. Il suo stile diventa un'icona della sua generazione difficile ed esso assume un'ulteriore svolta dopo la diffusione dell'AIDS che mette in discussione la sua fiducia nel potere delle immagini rendendole chiaro che esse le mostravano solo coloro che aveva perso. La Goldin intende le foto che documentavano la vita quotidiana dei suoi amici sieropositivi in funzione di valenza sociale e politica, e come attivista di Act Up organizza la prima grande mostra sull'AIDS a New York nell'89.

Nan Goldin fa parte del gruppo detto dei cinque di Boston (Five of Boston) e il suo lavoro è considerato rilevante nell'ambito della fotografia contemporanea, come Terry Richardson e Wolfgang Tillmans.

Casa di Augusto


Casa di Augusto

La Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma è da tempo impegnata in un vasto piano di restauro, di attività investigative e di studio dell’intero complesso delle costruzioni che Augusto realizzò sul Palatino.



Molteplici sono gli interventi effettuati: da quelli di ordine statico-strutturale a quelli di ricomposizione e ripristino della decorazione pittorica: Quest’ultimo ha interessato, in particolare, il nucleo della reggia augustea situato sul pendio meridionale del colle nel tratto adiacente al tempio di Apollo Aziaco, compreso tra le Scalae Caci e le Biblioteche di Domiziano.

Il sito, finora escluso dal circuito di visita, dal 10 marzo è aperto ai numerosi visitatori del Palatino. La Casa di Augusto costituisce il monumento massimo del colle, al quale pochi altri possono venire paragonati per importanza storica e interesse archeologico, e nel quale si rinvengono le espressioni artistiche più alte, trattandosi della residenza imperiale.
In quest’ultimo biennio, per raggiungere l’obiettivo dell’apertura al pubblico, l’attività e le risorse finanziarie a disposizione della Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma si sono concentrate essenzialmente attorno al peristilio (giardino porticato a colonne) della prima fase della Casa di Augusto (quando ancora non era imperator), sui cui lati settentrionale e orientale si aprono i locali più rappresentativi dell’abitazione.
I lavori di restauro dell’edificio si sono focalizzati sul ripristino delle coperture di alcuni degli ambienti, per consentire la ricollocazione dei preziosi affreschi, rinvenuti in frammenti minuti tra le terre di scavo e adesso ricomposti e restaurati. A tutto ciò, si sono aggiunte le opere di messa in sicurezza e sistemazione dei percorsi.



Proprio grazie all’allestimento di un percorso attraverso il peristilio stesso, viene così aperto alla visita il settore della casa che eccelle per l’altissima qualità delle sue decorazioni pittoriche. Oltre al cosiddetto studiolo dell’imperatore, preziosa testimonianza del raffinato gusto decorativo augusteo e aperto in occasioni particolari negli scorsi anni - per esempio per la settimana dei beni culturali - , sono restituiti nel loro primitivo aspetto e per la prima volta visibili a studiosi e pubblico: il “cubicolo inferiore”, il grande oecus (ambiente di soggiorno e di ricevimento) e i locali denominati della rampa e dell’antirampa. Le loro splendide decorazioni, capisaldi nella storia della pittura romana, fanno della casa del primo imperatore il maggior complesso pittorico di secondo stile che si sia recuperato in questi ultimi decenni.
Con la imminente riapertura della Casa di Livia - dove, ormai da tempo, si è provveduto ad una definitiva copertura dell’atrio a salvaguardia degli affreschi, e si stanno restaurando i dipinti del tablinum e dell’ala sinistra - si realizzerà un vero e proprio museo in situ della pittura decorativa di età protoaugustea.
Di recente ultimazione sono i restauri del podio di Apollo Aziaco, che hanno consentito l’identificazione di luoghi celebrati dai poeti augustei, quali il portico delle Danaidi e la Bibliotheca ad Apollinis, luogo citato dalle fonti (Svetonio) dove Augusto era solito riunire il Senato.
Sono ancora in atto lavori diretti ad arrestare i dissesti statici che interessano il settore meridionale del complesso, lavori che hanno consentito l’identificazione del supposto Lupercale.



I restauri della decorazione pittorica


Gli ambienti venuti alla luce dagli scavi eseguiti nella zona augustea dal professor Gianfilippo Carettoni alla fine degli anni ‘70 del secolo scorso, decorati con affreschi e stucchi, rappresentano un importante esempio di pittura romana di metà del I sec. a.C. risultato di una impegnativa opera di restauro che ha interessato il grande oecus, l’ambiente della rampa, due cubicoli sovrapposti.
Nel cubicolo superiore (il cosiddetto studiolo di Augusto) la situazione generale emersa dallo scavo era abbastanza diversificata: rimanevano circa due terzi dell'affresco della parete frontale, una parte della volta era crollata e conservava un grosso frammento di pittura e stucchi, mentre tutto il resto della decorazione era ridotto in frammenti.
Il cubicolo inferiore conservava la quasi totalità della decorazione ancora sulla muratura originaria, mentre la fascia superiore delle pareti laterali è stata ritrovata in frammenti nell’interro.
Nell’oecus sono stati ritrovati i frammenti degli affreschi della parte superiore delle pareti dell’”antisala”, laddove il resto della decorazione rimasta ancora in situ si presentava molto deteriorata, tanto da richiedere un significativo intervento di consolidamento e di reintegrazione per restituire la leggibilità dell’insieme.
Nell’ambiente della rampa la decorazione delle volte e gran parte delle pareti dell’antirampa sono state raccolte anch’esse in frammenti.
Il restauro degli ambienti ha pertanto richiesto, insieme all’intervento sulle superfici ancora in situ, anche e soprattutto la ricomposizione dei frammenti, attraverso i quali giungere alla restituzione dell’impianto decorativo di questa ala della Casa di Augusto, così come era al tempo dell’Imperatore.


Stanziamenti erogati

La Casa di Augusto nell’ultimo biennio ha ricevuto finanziamenti mirati a rendere possibile l’apertura al pubblico di almeno un settore dell’intero complesso imperiale.
Gli stanziamenti degli ultimi due anni sono stati pari a € 1.790.000 così ripartiti: € 1.540.000 per la Casa di Augusto e € 250.000 per la Casa di Livia. Con l’iniziativa del MiBAC, Maratonarte, si prevede che possano essere restaurati altri ambienti significativi in un settore della Casa di Augusto ancora chiuso al pubblico. In particolare la “stanza delle prospettive” e alcuni ambienti adiacenti. Per questi lavori lo stanziamento previsto è pari a circa € 400.000. Con i fondi “Roma Capitale” riferiti alle annualità 2005-2006, la Soprintendenza speciale per i Beni Archeologici di Roma potrà proseguire anche i restauri all’interno della Casa di Livia, comunque già avviati.
Luogo
VIa dei Fori Imperiali All'interno dell'area archeologica del Palatino-Foro Romano
Roma, RM
Orario di apertura:

Orario periodo Luglio 2009 - Settembre 2009
lunedi: apertura per gli studiosi dalle ore 08:30 alle ore 10:30; apertura al pubblico dalle 10:30 alle 13:30 (ingresso ultimo gruppo ore 13:00)
martedi e venerdi: chiuso
mercoledi, giovedi, sabato, domenica: apertura al pubblico dalle ore 08:30 alle 13:30 (ingresso ultimo gruppo ore 13:00)

Orario periodo Ottobre 2009 - Maggio 2010
lunedì: apertura per gli studiosi dalle ore 8.30 alle ore 11.00; apertura al
pubblico a partire dalle ore 11.00
martedì, giovedì e venerdì: chiuso.
mercoledì, sabato e domenica: apertura al pubblico a partire dalle ore 11.00

La visita è consentita a piccoli gruppi e l'accesso all'interno degli ambienti è limitato a 5 persone alla volta per motivi di sicurezza e conservazione.
Biglietti:

Intero € 9,00; ridotto € 4,50.
Il biglietto consente l'accesso al Colosseo ed alle aree del Palatino e del Foro Romano.
Informazioni e prenotazioni:
+39.06.39967700 (lunedì-sabato 9-13.30 e 14.30-17); www.pierreci.it
Come arrivare:
Bus 60 – 75 – 85 – 87 – 117 – 271 – 571 – 175 – 186 – 673 - 810 – 850 – C3 - tram 3 – Metro linea B fermata Colosseo



Di prossima pubblicazione uno studio relativo al recupero e al restauro della decorazione ad affresco e a stucco della Casa di Augusto sul Palatino.
Il lavoro è costituito di due articoli, il primo dei quali sulla storia degli scavi nell... Mostra tutto’area e con una rassegna degli studi più recenti sulla decorazione dell’edificio dove abitò il princeps; il secondo, più tecnico, sulle operazioni di restauro condotte in laboratorio degli affreschi frammentari e recuperati in corso di scavo nei vari ambienti, nonché sulla rimessa in opera delle pitture e degli stucchi una volta ricomposti e restaurati.
Al testo è annesso un apparato illustrativo delle pitture (tuttora in larga misura inedito) degli ambienti della casa (volte e pareti) e con tutti i particolari della decorazione, forniti di didascalie.
L’intero lavoro tiene conto delle attività di restauro, investigative e di studio che la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma ha condotto sull’intero complesso delle costruzioni che Augusto realizzò sul Palatino.

venerdì 16 aprile 2010

Street Art

Street art (in italiano Arte di strada) è il nome dato dai mass-media a quelle forme di arte che si manifestino in luoghi pubblici, spesso illegalmente, nelle tecniche più disparate: spray, sticker art, stencil, proiezioni video, sculture ecc. La sostanziale differenza tra la street art e i graffiti si riscontra nella tecnica non per forza vincolati all'uso di vernice spray e al soggetto non obbligatoriamente legato allo studio della lettera, mentre il punto di incontro che spesso fa omologare le due discipline rimane il luogo e alle volte alcune modalità di esecuzione, oltre all'origine mass-mediatica della terminologia (originariamente semplicemente Writing).

Ogni artista che pratica street art ha le proprie motivazioni personali, che possono essere molto varie. Alcuni la praticano come forma di sovversione, di critica o come tentativo di abolire la proprietà privata, rivendicando le strade e le piazze; altri più semplicemente vedono le città come un posto in cui poter esporre le proprie creazioni e in cui esprimere la propria arte. La street art offre infatti la possibilità di avere un pubblico vastissimo, spesso molto maggiore di quello di una tradizionale galleria d'arte.


Movimento street art in Italia


A tre decenni dalla sua comparsa il fenomeno socio-culturale del graffitismo urbano ha ormai guadagnato, tramite le sue influenze sulle arti visive, una rilevanza unica sul panorama della creatività contemporanea. I graffiti influenzano la grafica pubblicitaria, le campagne di marketing, il gusto di migliaia di persone. Intorno al 2000, tra Inghilterra, Spagna e Italia, si assiste a qualcosa di nuovo e differente per le strade; numerosi creativi (artisti, fotografi, poeti, writer) abbrandonano l'etnocentricità del movimento del writing e, proponendo lavori su poster, stencil o vernice traducono la loro esigenza d'espressione in una tensione costante verso la comunicazione di massa e la partecipazione del pubblico al senso dei propri interventi.

Banksy, attivo già a Londra nei primi anni del 2000, ha estrapolato e diffuso più di chiunque il concetto di street Art: decorazioni a spray immediatamente traducibili e trasversali rispetto alla società che comunicano tematiche sociali quali la necessità di libertà d'espressione, il pacifismo, la brutalità della repressione poliziesca, la conformità della morale a regole di sola facciata, l'antiproibizionismo e il rispetto della libertà sessuale e di coscienza.

Questo tipo di arte discende direttamente dalla Pop Art e dalla Graffiti Art, ponendosi però in un nuovo panorama a cavallo tra comunità sociale e mondo dell'arte, verso chi più propriamente artista propone i suoi lavori o chi, diversamente, utilizza la strada come luogo ribalta e vettore comunicativo.

Più approfonditamente la scena italiana ha saputo imporsi a livello europeo sin dai primi anni del duemila, con due scuole a emergere più di altre, riconducibili ora a Milano, ora a Bologna. La prima tra le due si concentra su una massificazione degli interventi per intercettare un pubblico il più vasto possibile, con decorazioni di piccola e media grandezza, sempre in grave contrasto con la municipalità e il governo della città. La seconda ha sviluppato invece uno stile che rende massiccia ogni decorazione più che una serialità serrata di interventi per le strade, che passano talvolta in secondo piano rispetto a fabbriche e aree metropolitane dismesse.

Milanesi protagonisti di tale movimento, intesi per la loro rilevanza sul pubblico ampio e non necessariamente addetto ai lavori, sono il pop artist Bros e il poeta di strada ivan Ivan Tresoldi, Abominevole e Ozmo che proposero forse i primi interventi a livello nazionale già nel 1999, Pao ed i suoi panettoni a pinguino, l'illustrarocker TvBoy ora di stanza a Barcellona, Microbo e Bobo130 meno attivi sul territorio ma di certo con una maggiore partecipazione su scala internazionale. Bolognesi doc, nonché particolarmente indicativi rispetto alle esperienze stilistiche e pratiche sopracitate, sono Blu, street artist e video maker ormai di fama mondiale, il collettivo Ericailcane, Dado e Stefy grazie anche alla loro passata esperienza nel mondo del writing nostrano. Verso la fine degli anni 2000, il movimento ha preso strade diverse e si è ormai in parte istituzionalizzato nella relazione con le municipalità in collaborazione con le quali spesso coopera, con musei, gallerie e grandi corporations

Tecniche

Bomboletta spray

La bomboletta spray è un contenitore, in banda stagnata o alluminio, contenente del liquido la cui espulsione avviene grazie ad un gas liquefatto che ha lo scopo di diffondere il contenuto della bomboletta sotto forma di aerosol.

L'invenzione di questo processo, risalente al 1926 si deve al chimico norvegese Erik Rotheim,che ne vendette il brevetto ad una azienda statunitense. Nel 1939 Julian Seth Kahn produsse la prima bomboletta spray.

Una delle prime applicazioni importanti dell'invenzione avvenne durante la seconda guerra mondiale, quando fu approntato uno spray destinato a diffondere l'insetticida contro gli insetti portatori della malaria.

Nel 1949 Edward Seymour introdusse per la prima volta nelle bombolette spray della vernice.

Il principio di funzionamento

Il gas, compresso sino a raggiungere lo stato liquido, nel momento della pressione sulla valvola in materiale plastico tende ad uscire violentemente da un piccolo ugello, trascinando con sé anche la materia prima liquida con cui era stato miscelato. La parte gassosa del composto, solitamente composta da propano, butano o isobutano si dissolve nell'aria separandosi dalla parte liquida.

Inizialmente il gas più usato nelle bombolette era il freon ma, dal 1989, in tutto il mondo è stato messo al bando a causa dei danni causati dallo stesso allo strato di ozono dell'atmosfera.

Le bombolette attuali possono contenere i materiali più diversi, molto comuni sono quelle contenenti profumi, insetticidi, prodotti per la pulizia e vernice. Il fatto che contengano gas sotto pressione ne consigliano l'utilizzo con cautela e anche per quanto riguarda il trasporto sono soggette ai regolamenti relativi al trasporto di merci pericolose ADR.

L'uso della vernice in spray è una delle tecniche preferite dagli artisti dediti al graffitismo.

Al termine del ciclo di vita della bomboletta è utile conferirla alla raccolta differenziata al fine di garantire il riciclo del metallo.


Sticker art


La sticker art, (dall'inglese sticker, adesivo) è una forma di street art in cui il messaggio o l'immagine sono veicolati da un adesivo. È consueto trovare esempi di sticker art in grandi centri urbani in posti molto trafficati.

Gli adesivi possono spesso contenere messaggi politici o sociali, con l'intento di arrivare al maggior pubblico possibile grazie al tappezzamento di vaste zone urbane, promuovendo così una maggiore sensibilizzazione verso un problema. Gli adesivi sono inoltre stati recentemente protagonisti di numerose campagne d'arte d'avanguardia.

Un altro uso degli sticker nell'ambito della street art è quello di contenere la firma dell'artista (tag), in alternativa alla firma con spray o pennarello. Questi adesivi sono spesso caratterizzati da un colore di sfondo uniforme e dalla firma scritta a mano con pennarello. Olivier Doria ha fatto largo uso di adesivi taylor made su misura rappresentanti carte da gioco (blackjack, poker, cinesi e tarocchi)e altri sticker unici.Olivier Doria ha combinato l'uso di adesivi pennarelli vernice e bombolette spray su pannelli di plastica e tela con vari temi di attualita. L'artista ha anche usato stemmi araldici e timbri con il suo cognome che completano il lavoro su pannelli plastificati e tele.


Stencil

Lo stencil è una maschera normografica che permette di riprodurre le stesse forme, simboli o lettere in serie.

Tecnica

La maschera è realizzata tramite il taglio di alcune sezioni della superficie del materiale (ad esempio un foglio di cartoncino) per formare un negativo fisico dell'immagine che si vuole creare. Applicando della vernice o del pigmento sulla maschera, la forma ritagliata verrà impressionata sulla superficie retrostante lo stencil, in quanto il colore passerà solo attraverso le sezioni asportate.

Il principale limite dello stencil è il fatto che non permette la creazione di figure isolate all'interno dell'immagine. L'espediente a cui si deve ricorrere è l'uso di ponti che collegano la figura isolata al resto della maschera.

Ogni stencil permette di creare una forma di un unico colore, quindi per creare immagini a più colori è necessario creare una maschera appositamente realizzata per ogni colore che si vuole utilizzare, applicandole in fasi successive sulla stessa superficie. Questa tecnica di stampa con stencil è chiamata ciclostile.

Utilizzi

La tecnica dello stencil, essendo molto economica e veloce, è largamente usata a scopo industriale e militare per identificare e catalogare oggetti, veicoli ecc. Lo stencil è utilizzato inoltre come decorazione, per esempio per decorare il muro di un'abitazione. Lo stencil è diventato inoltre uno strumento fondamentale della street art, in cui è fondamentale la velocità di esecuzione (essendo spesso questa pratica illegale) e soprattutto la possibilità di riproduzione pressoché illimitata.


Graffiti writing


Il writing, anche detto (secondo alcuni impropriamente) graffitismo, è una manifestazione sociale, culturale e artistica diffusa in tutto il pianeta, basata sull'espressione della propria creatività tramite interventi sul tessuto urbano. Correlata ad essa sono gli atti dello scrivere il proprio nome d'arte (tag) diffondendolo come fosse un logo. Il fenomeno, ricordando la pittura murale (murales - disegni su muro), è da alcuni ad essa accostato, e viene spesso associato ad atti di vandalismo, poiché numerosi adepti utilizzano come supporti espressivi mezzi pubblici o edifici di interesse storico e artistico.

Generalmente, i writer più vicini ad un lavoro di ricerca artistica tendono a esprimersi in campi più protetti, come nelle "hall of fame", spazi a disposizione dei writer in cui dipingere più o meno legalmente (siano questi muri esplicitamente dedicati dalle amministrazioni comunali all'espressione della "spray-can art" - un modo, questo, per cercare di arginare il dilagare del fenomeno nel contesto dei centri storici o di quartieri residenziali - o siano luoghi siti in periferie degradate o di poco interesse o difficilmente raggiungibili in cui, per un tacito accordo con gli organi deputati al controllo dell'ordine pubblico, si lascia ai writer "carta bianca" e una relativa tranquillità per dipingere ). I writer che scelgono di esprimersi per lo più in contesti del genere, attraverso la scelta consapevole e responsabile del supporto per la pittura, si distinguono da quelli che intervengono anche su edifici di interesse storico e artistico.

Ogni writer, qualsiasi sia la sua inclinazione e provenienza, ricerca e studia un'evoluzione personale, per arrivare ad uno stile proprio in modo tale da distinguersi dagli altri ed essere notato maggiormente.

Nel corso degli anni molti artisti hanno comunque maturato nuove tendenze creative per cui, pur mantenendo radici nel graffiti writing, si è riusciti a sconfinare nella tipografia, nel design, nell'abbigliamento, contaminando il tipico stile degli anni '80 con ideali più razionali e vicini alla grafica. Si parla di tendenze artistiche "post-graffiti" in particolare riferendosi alla street art, e di Graffiti Design per le influenze oramai evidenti nelle tecniche pubblicitarie e nella moda. È possibile affermare che molti artisti oramai integrati nel sistema convenzionale del mercato dell'arte, traggono il loro valore da esperienze precedenti spesso formalmente illegali. Non è una novità osservando i risvolti delle avanguardie di primo Novecento, oppure gli happening degli anni Settanta, tuttavia movimenti del genere non avevano mai raggiunto una scala globale. Il confine fra arte e vandalismo e tra fascino e illegalità contiene quindi una vasta gamma di sfumature, e ad illuminare il pubblico, spesso capace di interpretare correttamente gli stilemi ed i concetti proposti, ci hanno pensato artisti e designer ormai di fama internazionale come il tedesco Mirko Daim Reissler, l'inglese Banksy, i francesi 123 Klan, lo spagnolo La Mano, l'olandese Neck, l'italiano Eron, volutamente evitando la scena americana, totalmente diversa da quella europea.

Graffiti writing

L'obiettivo di ogni writer è sia raggiungere una certa fama all'interno della "scena" dei graffiti, sia far conoscere il proprio nome a chiunque; per questo è di fondamentale importanza una certa visibilità delle opere, sia essa ottenuta grazie ad una presenza imponente di tag (firme), bombing (scritte semplici e veloci con contorno e un colore di interno), pezzi (graffiti con lettere evolute e di vari colori) e pezzi monumentali ovvero bianconi o argentoni chiamati anche block (fatti con la tempera o l'argento oltre che nelle strade soprattutto lungo le ferrovie). Oltre alla fama si pone un altro elemento: l'espressione personale. Molto spesso questo bisogno è fine a se stesso, e alla soddisfazione individuale di vedere una propria opera in un contesto urbano , fuori dagli schemi che il sistema impone. La differenza tra atti di vandalismo e il "writing" è da ricercarsi nelle motivazioni che spingono a dipingere. L'intero fenomeno del writing arriva con tale impatto allo spettatore da non poter esser frainteso: basti pensare all'evidenza delle allusioni, spesso politiche e di protesta sociale, di una sua nuova derivazione quale può esser la Stencil-art. Il senso espressivo dovrebbe comunque esser evidente a chiunque: dietro alle forme ed all'evoluzione delle lettere c'è un lungo studio, fatto di bozze preparatorie ed ispirazioni provenienti dall'ambiente che circonda il writer in questione. Ogni persona vive in un determinato ambiente e viene influenzato direttamente e profondamente nel proprio modo di fare e di agire. Lo stesso avviene per colui che opera nella città (come lo fanno i writers e gli street artist) e che ha al contempo una missione personale e universale: esprimersi e farsi conoscere. Di conseguenza ogni nazione e città ha scuole di stili diversi: lo stile tedesco (tendente per lo più al Wild Style newyorkese con lettere sottili e intrecciate o fortemente accostate), lo stile brasiliano, lo stile romano (lettere tondeggianti, tendenti al bomb-style e al Throw up ma più studiato) e via dicendo.

Origini del graffiti writing

Sebbene le sue origini si possono far risalire all'abitudine dei soldati alleati nel corso degli anni quaranta di disegnare lo scarabocchio Kilroy, il writing nasce a Filadelfia nei tardi anni sessanta e si sviluppa in seguito a New York negli anni settanta fino a raggiungere una prima maturità stilistica a metà degli anni ottanta.

Nel 1972-75 appaiono i primi "pezzi", rappresentanti inizialmente una semplice evoluzione delle firme, divenute più grandi, più spesse e con i primi esempi di riempimento e di contorno (outline). Ben presto, anche se un pezzo aveva bisogno di molto spray (due o più bombolette) che avrebbero permesso di fare molte tag, tutti i writer raccolsero la sfida lanciata da Super Kool 223 e cominciarono a fare pezzi. Iniziarono le prime repressioni e le campagne contro il writing. Le carrozze della metro vengono pulite e lavate, si mettono taglie sui Writer, si recintano i depositi della metro (luoghi preferiti per l'azione) e si piazzano pattuglie cinofile lungo le recinzioni. Nonostante ciò tra writer c'era una continua sfida, che portò all'evoluzione ed al miglioramento qualitativo del fenomeno, che prese ad ampliarsi. Alcuni writer inventarono nuovi stili (come loop o nuvole) o perfezionarono quelli già esistenti, aggiungendo sfondi, grazie di provenienza tipografia, personaggi di cartoni animati (puppets) e forme prese dalla segnaletica stradale o dalla logotipia. I pezzi si ingrandirono top-to-bottom wholecar, diventando più elaborati e colorati Wild Style.

Il Wild Style è lo stile più evoluto e complesso: ha come fondamento lettere (come del resto tutti i pezzi) combinate, legate, sviluppate e attaccate tra loro in modo da sembrare delle "macchie" di colore dove (per i neofiti) è difficile ritrovare le lettere di partenza.
Writer in azione a Bucarest.

Nei primi anni ottanta, anche grazie alla realizzazione di Style Wars (documentario sui graffiti della metropolitana newyorchese) e del film Wild Style, il fenomeno graffiti si diffuse su scala mondiale, trovando in Europa un fertile terreno.

Le città europee che meglio recepirono gli input provenienti da New York furono Amsterdam e Parigi, a seguire presero a svilupparsi le scene in Germania, Spagna e Svezia. Una dura repressione rese invece abbastanza taciturna la scena inglese. Dagli anni ottanta ad oggi il fenomeno si è sviluppato grazie alla diffusione di riviste specializzate, video convention e ai frequenti viaggi di molti writer per le città europee e americane.

In Italia, le città maggiormente interessate dai graffiti sono Roma, Napoli, Milano, Pesaro, Bologna, Bari, Firenze, Torino e Ascoli Piceno. Il fenomeno si è sviluppato in due ondate, quella tra il 1986 ed il 1995, fatta di ragazzi che arrivarono a rubare i tappini dei dosatori spray nei supermercati, poi messi fuori commercio e sostituiti da tappi ad incastro "femmina". La seconda ondata arriva fino ad oggi, con il raggiungimento, da parte dei novizi del 1995, di una certa maturità stilistica.

Tra gli artisti americani più noti, attivi a New York, ricordiamo Haring (che venne influenzato, come da sua ammissione, dal pittore africano Lilanga), Angel Ortiz (TAG: LA II) e Paul Kostabi.

Graffiti writing, Aerosol-Art e Graffiti-Logo

Le seguenti definizioni sono state estratte dal saggio "From Streets to Galleries" pubblicato nel 2002. Altri pareri sono tratti dalla conferenza "Il destino delle linee", tenuta da graffiti writer in prima persona nel 2003.

Tutto è partito dal graffiti writing, un fenomeno inizialmente giovanile caratterizzato da incessanti azioni di ragazzi e ragazze decisi a imporre i propri pseudonimi all'interno dei contesti urbani. Con il passare degli anni ha creato un proprio codice linguistico, differenziando le opere realizzate in categorie stilistiche e dando vita ad una fitta rete di connessioni internazionali di appassionati protagonisti.

Sarebbe più esatto comunque associare il fenomeno del writing alla cultura Hip-Hop, che contiene numerosi altri elementi legati a forme di espressività a carattere urbano, e comunque nate in quell'ambiente, quali l'mc-ing, il dj-ing o turntablism, la breakdance.

Le linee portanti della cultura del graffiti writing, che ormai vanta oltre trent'anni di evoluzione e che ha raggiunto ogni angolo del pianeta, sono state esaustivamente trattate nel database del sito graffiti.org: prima risorsa online internazionale sul tema, ad oggi importante punto di riferimento per chi pratica o si vuole avvicinare al fenomeno.

L'Aerosol-Art è stata una delle prime espressioni artistiche accostate al graffiti writing. Si tratta dell'utilizzo della bomboletta spray con applicazioni pittoriche aerografiche simili alle produzioni aerografiche convenzionali. L'Aerosol-Art dapprima ha arricchito di significato le scritte Graffiti connotandole e rendendole appetibili al grande pubblico, e successivamente, ha trovato una propria indipendenza e dignità artistica. Molti Aerosol-Artist sono anche graffiti writer ma sempre più emergono figure che fanno dell'Aerosol-Art sia un punto di partenza che di arrivo. L'Aerosol-Art si configura quindi come una tecnica pittorica aerografica spesso associata alle produzioni graffiti writing.
Un tipico graffito dei sottopassaggi di Pisa

La tendenza Graffiti-Logo si delinea quando alcuni graffiti writer cominciano ad associare il proprio nome ad un'icona che viene riprodotta serialmente sulle superfici di contesti urbani. L'efficacia comunicativa di queste produzioni sulla popolazione estranea al fenomeno è indubbiamente maggiore rispetto ai normali loghi delle produzioni graffiti writing. Questo fenomeno espressivo è stato protagonista delle prime esperienze di "street art" internazionali connotando molti artisti di successo. La prima street artist in Italia ad usare nuove tecniche espressive quali la riproduzione del logo e le pitture monumentali per mezzo di spray e tempere è stata Pea Brain a Bologna all'inizio degli anni novanta, precedendo la "nouvel vague" di street art che sta nascendo da qualche anno a questa parte.

Questo genere di risvolti è nato comunque dalla commistione delle forme iniziali con certe correnti europeiste, principalmente coinvolte nel design, forse anche a causa dei corsi di studi intrapresi da alcuni dei writer più influenti.

Tag e crew

La tag è lo pseudonimo di ogni graffitista, il suo alter-ego. La tag viene scelta dal writer stesso, partendo da giochi di parole sulla propria identità, o semplicemente scegliendo la parola che più lo aggrada.In alcuni casi la tag è seguita da suffissi come "one", "ski","Rock", "em", "er". I primi writer del Bronx usavano unire un numero al nome, come fece John 137 per primo, indicando che il suo numero civico nel quartiere fosse proprio 137. L'elaborazione della tag segue lo stesso percorso stilistico che intraprende un calligrafo nella definizione della sua calligrafia, con l'aggiunta di grazie o svolazzi. Attualmente si è assunta una direzione maggiormente volta alla logotipia ed alla tipografia.
Un esempio di tag

Una crew è un gruppo di amici, necessariamente legati dalla cultura hip-hop, non esclusivamente writer. Sinonimi sono il francesismo "clique", lo slang salentino "ballotta", l'americano "squad", l'inglese "connection". Una crew è basata prima di tutto sulla stima e sul rispetto reciproco che si instaura tra i suoi componenti, spesso amici di vecchia data. Non si è nuovi comunque a raggruppamenti fatti ad hoc, come furono i "TFP" di Cope2: potevano rientrare tra i "The Fantastic Partners" solamente i migliori studenti dell'ambiente newyorchese, che dimostrassero di esser "king", re incontrastati, in materia di writing.

Il nome di una crew viene scelto in base agli interessi del gruppo di amici, generalmente accordandosi sulla precisa connotazione che si vuole dare alla propria, futura,immagine. Molte volte il nome di una crew è un acronimo, che può avere diversi significati, come ad esempio FIA (Fuck It All), FAC (Free Age Crew), PED (Paradiso & Dolce), MDF (Morti De Fame), ARF (A Royal Foundation), TMC (The Minds Criminal Crew) , KD (King Destroyers o Killa Dogz) , FS (Free Style o Fuori Servizio). Esempio invece di "diminutivo" lo troviamo con i VMD (Vimodrone).

La tag corrisponde quindi in tutto ad una firma. Evoluzione della tag è il throw up, disegno stilizzato di facile esecuzione, senza riempimento, grande più o meno 1,5mt x 1,5mt, spesso ripetuto sei o sette volte di seguito sulla stessa superficie. Di dimensioni maggiori il bombing, anche lungo 10 metri, colorato a tinta unita bianco e nero, o argento e nero, di facile esecuzione ripetuto uguale numerose volte su diverse superfici per instaurare una certa presenza territoriale. L'obbiettivo del "bomber" è la fama, far girare vagoni dipinti da lui sulla propria linea in modo che tutto e tutti possano vedere il "pannello", e quindi espandersi fino a classificare tutte le metro o tutti i treni d'Europa.

Queste tre espressioni sono i livelli stilistici più bassi del fenomeno writing, spesso sovraesposti dai media, ma del tutto trascurabili dal punto di vista artistico. Nella comunità è infatti emarginato abbastanza velocemente il writer che non riesce ad esprimersi in forme stilisticamente più valide, e generalmente marcato come "toy". Nelle generazioni successive di writer, questo genere di modalità espressive viene utilizzato da adepti provenienti da diversi movimenti, quali il punk o il metal, che hanno poco in comune con le basi della cultura di partenza, quella hip-hop, che ha come cardini il rispetto dell'operato altrui ed un'adorazione quasi divina per il "king".

La street art

La street art è la definizione comunemente utilizzata per inquadrare tutte le manifestazioni artistiche compiute in spazi pubblici. A differenza del graffiti writing l'artista non vuole imporre il suo nome, ma intende creare un'opera d'arte che si contestualizzi nello spazio che la circonda, creando un impatto e interagendo con un pubblico diversificato, che peraltro non ha scelto di visionare l'opera. Il concetto è facilmente riconducibile all'idea di performance nata negli anni settanta, con l'aggiunta del tentativo di proporre un'opera duratura, che non sia ufficiale né richiesta.

Nonostante una maggiore eterogeneità e differenze sostanziali di tecniche in gioco, la street art ha maturato nel corso degli ultimi anni una connotazione Culturale propria. Le tecniche utilizzate, oltre allo spray, comprendono poster, sticker, stencil, installazioni, performance.

Fra gli artisti italiani più affermati si possono citare Ivan Tresoldi e Bros.

Il post-graffiti

Trattasi di tendenze stilistiche che affondano le radici nella cultura del graffiti writing e della street art e che si manifestano in molteplici discipline, quali Pittura, Scultura, Grafica, Computer grafica, Design, Illustrazione, Moda, Fotografia, Architettura, Videoarte, Calligrafia. La differenza fondamentale fra street art/graffiti writing e tendenze post-graffiti si esplicita nei campi di applicazione delle produzioni dell'Artista. Lo street artist o il graffiti writer crea un'opera che si colloca in spazi pubblici seguendo un percorso creativo strutturato e finalizzato spesso alla notorietà, in concorrenza con artisti che vengono da esperienze comuni e si esprimono con un codice simile al loro; un Artista post-graffiti si cimenta invece in discipline "convenzionali", se non nelle Arti Maggiori, confrontandosi con creativi che non hanno una formazione e impostazione apertamente legata al gusto dei Graffiti o della street art. È comunque evidente come gli stilemi proposti abbiano permeato in maniera quasi subdola qualsiasi produzione rivolta ai giovani, dimostrando la forza d'impatto e la persistenza di questo genere di espressione artistica.

Graffitismo: arte o crimine?

Da quando esistono i graffiti, esiste il quesito: sono arte o crimine? La "scuole di pensiero" si dividono, e se dalla parte di chi li criminalizza è facile annoverare amministrazioni comunali, proprietari di case e negozi che spesso si trovano muri e saracinesche imbrattate da tag, a favore dei graffiti ci sono molti ragazzi. Molti ragazzi infatti riconoscono ai graffiti una funzione di abbellimento di zone urbane che altrimenti risulterebbero grigie e anonime. La pratica è maggiormente condannata invece quando si toccano monumenti e beni pubblici. Ed è proprio per la tutela di questi beni che molti comuni italiani si sono mossi per cercare di arginare il fenomeno dell'imbrattamento. Nel panorama italiano però si levano anche voci contro corrente: non mancano i comuni che hanno aperto le porte ai graffitari, organizzando manifestazioni e cedendo loro spazi per realizzare i loro disegni, che in alcuni casi non possono non essere considerati opere d'arte vere e proprie.
In Argentina la Street art è stata duramente perseguita sotto la dittatura militare durata dal 1976 al 1983, l'apertura del paese inizia con la debacle della guerra delle Falklands, e da allora l'applicazione della legislatura si è allentata concedendo la street art come sistema di espressione del popolo.